Chi c’è dietro A Safe Shelter?
Dietro A Safe Shelter ci sono solo io: Simone Zagari, 25 anni. Non ho studiato musica, sono laureato in Lingue e lavoro in un ufficio. A dirla tutta, la musica mi accompagna da quando ho 12 anni. Il primo approccio è stato un classicone: lezioni di chitarra. Dopo tre anni ho mollato tutto per ricominciare da autodidatta. Mentre i miei gusti maturavano, ho cominciato ad approcciarmi ai software di produzione elettronica, creando all’inizio per gioco. Devo dire che comunque, non ho mai pensato: ecco, adesso metto in piedi questo progetto. Al contrario, è stata una genesi abbastanza naturale, scaturita da un’esigenza espressiva personale più che per un pubblico ideale o per sfondare.
A Safe Shelter mi pare un alter ego un pò criptico. Ascoltando On a Quest non mi sono sentita sempre a casa, anzi piuttosto in un viaggio di scoperta e smarrimento, sopratutto in pezzi come Paralysis…
Paralysis è una parentesi particolare perchè dopo aver pubblicato i primi pezzi, mi è stato richiesto dalla mia etichetta (Sherpa Records) di pensare a dei pezzi per un ep…A tre mesi dalla prevista data di pubblicazione non mi piaceva assolutamente niente di tutto quello che avevo creato, e devo ammettere che questo atto di rinnegazione è una costante nel mio percorso. Con la mia chitarra, sono ripartito dal momento paralizzante del: “Oddio-mancano-tre-mesi-e-devo-rifare-tutto”, perchè Paralysis è composta interamente con la chitarra anche se non si sente.
Negli anni la mia musica è diventata il mio rifugio sicuro.
Tornare prima da scuola, poi dall’università ed ora dal lavoro, attaccare i jack, le macchine con leggerezza senza pensare devo produrre un pezzo, un album. Costruire un regno in primis per me, senza la pretesa che sia significante per gli altri, se poi lo diventa, tanto meglio.
On a Quest, è un album da cameretta, molto introspettivo. L’ispirazione è scaturita da un momento particolare?
In realtà non c’è un occasione singola ma un accumulo di esperienze. Lo stesso titolo non indica nulla di chiuso, circoscritto. Per esempio tra pezzi come Paralysis e Voices c’è una differenza abissale. Non ho definito il mio suono, volutamente, ci sono pezzi statici, altri con la cassa dritta, qualcuno più ballabile: la quadratura del cerchio arriva dopo, non mi pongo paletti.
On a Quest è un percorso di ricerca, per formarsi musicalmente e umanamente. Come comunica la copertina, una statua con una sciarpa abbandonata sulle spalle, in un cantiere di una fontana in costruzione, immersa in un contesto ordinato e finito.
Come descriveresti il mondo di questo viaggio musicale?
Beh, direi un universo abbastanza incerto, dai confini indefiniti ma non per forza negativo. Ci sono brani più cupi ma non sono messi agli estremi dell’ ep, a termine del viaggio. Per me la fine deve essere aperta. Per esempio, Divenire I, Divenire II aprono un cerchio che si completa con le altre tracce per chiudersi con Divenire III. In realtà, lo stesso concetto di divenire rimanda ad una prospettiva ampia, aperta di evoluzione e positività. Così come i confini non si limitano ai quattro muri di una cameretta, la musica nasce lì e lentamente evade, si espande all’esterno.
Paris Everywhere è un brano crepuscolare, meditativo…
Passeggiando per il quartiere ebraico di Parigi, mi sono trovato in una chiesa. Il sole stava tramontando. La messa era appena finita, la folla stava abbandonando i banchi ma l’organista è andato avanti a suonare. L’ho registrato e campionato a casa alcuni fraseggi, per poi stravolgerli e dar vita alla traccia. Ciò che rimane è l’atmosfera, la luce che sta svanendo e questo senso di pace e insicurezza che trasmette una chiesa vuota.
Io registro tutto, dalle voci per strada,ai passi, ai rumori della città.
Qualche mese fa, sono stato ricoverato e Aspetic ha la sua genesi proprio nei rumori, nel clima ospedaliero.
Spesso l’elettronica viene accusata di essere impersonale, partire da suoni della mia esperienza è il mio modo per donarle umanità, è un fermo immagine sonoro che da valore al momento anche più banale o minuscolo.
Come nasce il sodalizio con Omake per il pezzo Deer/ The Hunter?
Omake era già uscito con un singolo per Sherpa Records e aveva praticamente finito il suo disco. Un giorno mi ha scritto, aveva sentito i miei pezzi e apprezzato le atmosfere ambient. Così mi ha passato la sua traccia chitarra e voce, pensando che potessi dargli qualcosa in più e così ho superato il momento iniziale da: “Oddio sei sicuro?” e ho lavorato su pad atmosferici, campionatura della voce. Da lì siamo diventati amici. Sembrava soddisfatto: ha realizzato anche un video.
Di Giulia Solari.