Una chiacchierata con Omake

La prima volta che ho ascoltato Omake ero seduta davanti a qualche commissione roboticamente auto immune a pc. Dopo il primo pezzo mi è parso che questo ascolto non poteva andare sprecato nella staticità atavica da ufficio ma che fosse piuttosto adatta ad una passeggiata trasognante nel traffico milanese. Passo dopo passo verso la metro, guardo il cielo negli sguardi davanti a me, è plumbeo e sfugge. Non c’è spazio per la malinconia nel turbinio incessante dei corpi che attraversano i marciapiedi. Non ho bisogno di isolare gli accenti e una voce da caverna, profondamente ipnotica mi guida ad esplorare il flusso, il movimento delle genti dall’interno. Mi lascio guidare, seguo i sassi sulla via. Sono gli indizi che mi portano alla riva, mi ci tuffo e sprofondo negli angoli strappati di una poesia metropolitana, in un fiume di corpi spersonalizzati ma senzienti. Mentre da una caverna una voce mi invita a scendere più in fondo, più fondo…

Omake oltre che un minuzioso esploratore musicale è un nerd dei manga. Prima dell’invasione del sushi all you can eat, Francesco Caprai nel mondo reale, si infila nell’identità di queste tre sillabe:
O-ma-ke.

Sono il corrispettivo giapponese nei manga, degli extras, dei bonus, dei director cuts nei dvd. È un invito a non accettare l’opzione più superficiale nell’ascolto, andando a scovare quei “piccoli” esclusi dall’edizione ufficiale.

In copertina, tre graffiate su sfondo nero: Columns . Sono i pilastri, le cose importanti sopra cui edificare la propria casa…

Il titolo è arrivato a disco finito, è nato dalla consapevolezza che intorno alla costruzione dello stesso edificio, che poi sarei io, ruotassero tre temi ricorrenti: il rapporto con me stesso, il rapporto di me nella relazione a due e il mio io nel mondo.

Drakside/The fighterPurest LoveDeer/The Hunter, Like a Snake/As an Eagle…Titoli che in sé hanno già una narrativa forte, quasi un mito di archetipi…

Come primo album credo che sia normale scrivere certe cose di getto. Il disco nasce sulla soglia dei trent’anni, quando le ansie e paure si materializzano, per cui mi sono trovato a scrivere di questo tipo di viaggio in divenire, un’analisi dello scheletro dall’esteriorità al nucleo.

Il prossimo disco avrà la stessa impronta di ricerca ma si evolverà da questo punto: ok, ho capito quali sono le colonne, individuato le crepe ed ora posso costruirci qualcosa sopra.

Korsakoff, titolo di un tuo brano è una malattia del sistema nervoso provocata dall’abuso di alcol…

Facciamo un passo indietro, io suono da 14 anni e sono sempre stato affascinato dalle sindromi anche in maniera abbastanza superficiale. Mi intrigava Korsakoff, non tanto per l’aspetto legato all’alcol ma per il fatto che la mente non sia più in grado di immagazzinare ricordi nuovi come se le esperienze passate diventassero troppo importanti ed ingombranti per lasciare spazio alle altre. Ho sentito empatia verso questa condizione, pensando ai momenti di cambiamento, quando per esempio ti trasferisci in un’altra città e ti accorgi che il bagaglio che ti porti dietro è totalizzante.

Il tempo è sempre più esiguo e frammentato, l’attenzione rivolta all’ascolto di un album non è quasi mai esclusiva ma accompagnata da altre attività. Anche rispetto all’hype che ha preceduto l’uscita di lavori come Blonde di Frank Ocean, Lemonade di Beyoncèe, come ti immagini l’evoluzione dell’industria musicale?

Lavoro nell’industria discografica da tempo, gli esempi citati sono fenomeni che ho studiato nel dettaglio. Il formato album è morto, non ha più senso di esistere.

Il motivo per cui Beyoncèe ha presentato un visual album è che non è tanto vitale che se ne parli a lungo dopo l’uscita, ciò che conta è l’impatto che crea e l’onda che si scatena da quel tipo di collisione.

Molti artisti black si stanno avvicinando al mondo del visual: l’esperienza musicale sta sconfinando nella fruizione cinematografica. Non esiste più il concetto di disco come dimensione quotidiana, il disco ora è un’ esperienza. Blonde di Frank Ocean è pensato per un ascolto solo, per un impatto immediato, non è neanche stato pubblicato in forma fisica. In quest’ottica anche la performance live si è evoluta, ora non è necessario conoscere a memoria i brani per godersi un concerto, ciò che lo spettatore ricerca nell’esibizione è uno spettacolo più totalizzante. Il futuro andrà lì, i cd non esisteranno più entro cinque anni, rimarrà il vinile come forma di merchandising e lo streaming unica via di pubblicazione, mentre il live diverrà la sola fonte di guadagno.

Giulia Solari

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